GROWL in Italy

Welcome to the grind

Category: Nina Ramirez (page 2 of 3)

METALCAMP 2012

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Report a cura di: Zimon
Credits photo: Nina Ramirez

METALCAMP 2012
Tolmino – Slovenia



Anche quest’anno è stata la volta per il Metalcamp, nona edizione per questo festival, che con il passare degli anni ha saputo riscuotere grandi consensi dal pubblico e non, e si è fatto strada fra i Big, diventando un appuntamento imperdibile, tra i festival estivi europei.
Durante tutte le giornate è stata pubblicizzata la notizia di un importante cambiamento per il prossimo anno, confermando poi il tutto con una conferenza ufficiale, dove è stato spiegato che per il decimo anniversario del festival, ci saranno delle grosse novità, tra cui la più importante, quella di un nuovo nome “METALDAYS” e si terra dal 22 al 28 luglio.
Ma torniamo all’edizione appena passata. 
La seconda giornata si apre con due giovani gruppi “Brezno” e “Avven” che scaldano, l’ormai già calda giornata, con la loro musica, un misto tra Metal/rock e Folk.

MADBALL:
Dalle 5.30 in poi iniziano a salire sul mainstage i primi gruppi di rilievo.
Il primo sono i “Madball“, carichi e felici di rappresentare la scena hardcore di New York, qui in Slovenia, in questo festival che solo negli ultimi anni ha iniziato ad aprire le sue porte anche a quei gruppi, che si distaccano dalla scena metal tradizionale, cosa sottolineata più volte dal cantante Freddy Cricien, soddisfatto sia dallo show tenuto dalla band, che dalla bella risposta del pubblico.
Una scaletta che ha proposto vecchi successi della band come “Down by law”, “Infiltrate the system”, “Set it off”, e nuovi brani tratti dal loro ultimo lavoro in studio “Empire“.
Uno show energetico e potente dal tipico trademark newyorkese: “Hardcore Still Lives!”.


PARADISE LOST:
Alle 21.15 è la volta della prima bigband della serata, i “Paradise Lost”, sul palco viene elevato il telone raffigurante la copertina di “Tragic Idol“, l’ultimo lavoro in studio della band.
Le luci si spengono, Nick e soci salgono sul palco, e lo show ha inizio.
Il setlist propone brani tratti dal loro ultimo album come, “Fear of impending hell”, “Honesty in death”, “In this we dwell” e la title track “Tragic idol”, mixati a brani che percorrono l’evoluzione sonora della band, che ha saputo evolversi pur mantenendo la propria integrità di gruppo, dalla storica “Pity the sedness” dal sound più grezzo e cupo, a “Say just word” e “One second”, sonorità più sperimentali e melodiche, non potevano mancare anche brani tratti da draconian times, di cui la band l’anno scorso ha festeggiato l’anniversario dell’uscita dell’album.
Gran bello show, unico appunto, gli inserti elettronici in alcune canzoni erano fin troppo alti da coprire le parti vocali di Holmes, non proprio in forma, vocalmente parlando.   


AT THE GATES:
Headliner della seconda serata sono stati gli At The Gates, una delle band più infuenti per la scena metal europea, che dopo il loro primo tour di reunion, un po’ di anni fa, hanno voluto omaggiare i propri fan di una seconda occasione per vederli live con la formazione originale.
Calato il telone legato alla scenografia dei Paradise Lost, viene fissato quello degli ATG con il logo della band imponente.
Subito il pubblico inizia ad incitare, l’uscita sul palco di Tomas e soci, al grido di “at-the-gates! at-the-gates!”.
L’attesa è breve, e sulle note della mastodontica “Slaughter of the Soul” (penalizzata da dei problemi tecnici iniziali dell’impianto sonoro esterno), la band parte in maniera esplosiva, e come una mitragliatrice spara i propri riff killer sul pubblico, Tomas “Tompa” è in forma come sempre, correndo da un lato all’altro del palco incitando la folla in delirio.
Lo show ripercorre la storia della band dal primissimo EP “Gardens of Grief” del 1991, all’ultimo album in studio “Slaughter of the Soul” del 1995, che li ha consacrati al grande pubblico.
Uno show da manuale, sia dal punto di vista musicale/vocale, che da quello scenico, la giusta proclamazione per questa band, la fotografia perfetta di quello che è stato capace questo gruppo, in fatto di songwriting, e che in pochi anni, ha saputo evolversi ed influenzare l’intera scena musicale mondiale.
Una nota di merito va ad Adrian Erlandsson, batterista della band, che con la sua doppia esibizione, prima con la sua band attuale, i Paradise Lost, e poi con la band che lo ha lanciato, ha dimostrato di essere una pura macchina da guerra dietro le pelli, senza perdere un colpo.


HATEBREED:
Nella quarta giornata del festival salgono sul palco gli Hatebreed, storica band americana che, dopo 3 anni torna in terra slovena a calcare il palco del Metalcamp, James Jasta esce sul palco con il suo grido di battaglia “Metalcamp! Lose your fuckin’ mind!!” e con “Defeatist” inizia lo show.
Gli innumerevoli circle pit alzano subito la polvere che raggiunge la band sul palco.
Vengono proposti i brani dall’ultimo omonimo lavoro in studio, intervallati dalle songs più di rilievo degli altri album che hanno segnato la storia della band.
Jasta dedica anche una loro canzone agli idoli/amici che ci hanno lasciato: Dio, Darrel, Paul Gray e Rev.
Destroy Everythings è la chiusura perfetta per ogni concerto degli Hatebreed, l’ultimo pugno in faccia, amichevole e simbolico, che la band lascia ai propri fans in delirio.


SEPTIC FLESH:
Contemporaneamente all’esibizione degli Hatebreed nel mainstage, nel secondstage salgono sul palco i Septic Flesh.
La band greca è in tour per promuovere l’ultimo lavoro in studio “The Great Mass”, un palco un più contenuto rispetto a quello principale, non ferma l’impatto di questa band che riesce comunque a coinvolgere la folla numerosa accorsa per lo show.
Circa mezzora di show, uno show ridotto, dove sono stati proposti solo i principali brani degli ultimi  lavori in studio, “Communion” del 2008 e appunto “The Great Mass” del 2011.
Grande impatto scenico e sonoro, con un Seth Siro in forma e sempre molto teatrale nella sua performance, che ha saputo coinvolgere i propri fans.
Speriamo di rivederli prossimamente su un giusto palco, con uno show non ridotto e con una scenografia degna di questo band.


KORN:
La terza serata del Metalcamp è dedicata ad un gruppo inusuale per questo tipo di festival, ma che allo stesso tempo segna un punto di cambiamento musicale, un’apertura verso dei generi, che pur essendo sempre metal sono influenzati da sonorità più sperimentali, più “Nu metal”, stiamo parlando del terzo headliner di rilievo per l’edizione del 2012, i Korn.
Una scelta tanto criticata, dai non amanti del genere, ma allo stesso tempo tanto osannata dai fans del gruppo, accorsi numerosi per l’evento.
Dopo averli visti, veramente in tutte le salse, con la formazione originale al completo, e poi con i vari cambi di line up, prima l’uscita dalla band di Head, poi di David Silveria, sostituito da Joey Jordison, e poi l’arrivo in pianta stabile si Ray Luzier alla batteria. 
Quest’ultima volta eravamo molto curiosi di vedere la band dal punto di vista live, soprattutto per vedere se le nuove sonoritù intraprese potevano avere la giusta resa anche sul un palco.
Le luci si spengono e i megaschermi installati per l’occasione si accendono proiettando immagini varie di paesaggi e di preparazioni del palco varie, fino all’uscita della band.
Rimaniamo piacevolmente colpiti quando vediamo salire sotto ai riflettori Ryan Martinie, bassista dei Mudvayne, al basso non Fieldy, ritornato a casa per la nascita del figlio.
Lo spettacolo inizia con “Divine” dal loro primo album omonimo del 1994, per poi continuare con i vari successi della band e i tanto attesi nuovi brani del loro ultimo lavoro in studio “The Path of Totality”, da “Narcissistic Cannibal” a “Chaos Lives in Everything”, passando per “Way Too Far”
Anche se si è sentita la mancanza del suono di basso tipico di Fieldy, Ryan lo ha sostituito a dovere, regalandoci a sprazzi anche dei suoi mini assoli caratteristici.
Le nuove sonorità sono state molto gradite alle nostre orecchie e a quelle del pubblico, che ha cantato tutti i pezzi ke Jonathan regolarmente incitava.
Grande impatto live, per una grande band che continua a scrivere una buona parte dell’evoluzione musicale mondiale.

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KISMET

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Disponibile il report fotografico della serata pro-Emilia a cura di Nina Ramirez Art sul nostro weebly.

EARTHAWAKE : KISMET + OCEANDRIVE + THE PLAN B
Piazza Risorgimento ( Lendinara -Rovigo ) . 30 giugno 2012



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CONCERTO PER IL SISMA

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Recensore e credits photo: Nina Ramirez

CONCERTO PER IL SISMA. MARLENE KUNTZ + AFRICA UNITE + LINEA 77 + MARTA SUI TUBI + IL TEATRO DEGLI ORRORI + GR3TA 
+ IL DISORDINE DELLE COSE.
Cen.Ser Rovigo – 23 giugno 2012

Un evento sicuramente raro nel capoluogo di provincia rodigino, quello che oggi assisteremo. Rovigo non è mai stata una città di grandi eventi musicali su qualsiasi genere, ma nel suo piccolo qualche nome noto, ogni tanto, ha saputo portarlo. Questo grande concerto, organizzato dal circolo ARCI Ridada e dal comune di Rovigo vuole essere un piccolo gesto benefico verso le popolazioni emiliane colpite dal terremoto. Grandi artisti gratuitamente calcheranno il palco del Ce.Ser di Rovigo, per questa giusta e considerevole causa. Il biglietto modico di 15 euro a persona servirà per comprare una tensostruttura che servirà per ospitare il consiglio comunale della città di Finale Emilia e per le attività di animazione con i bambini. 
I concerto inizia con circa un ora di ritardo verso le 18.00, la zona Ce.Ser di Rovigo, non è altro che un enorme parcheggio sgombrato per l’occasione, e nonostante il caldo torrido, la gente già comincia ad arrivare. Salgono sul palco ad aprire le danze il Disordine delle Cose, band che propone un rock italiano semplice nei testi ma con sfumature prog di buon gusto. Notevoli gli arpeggi di chitarra classica e di contrabasso, tempi lenti di batteria e voce delicata che può ricordare alla lontana un Niccolò Fabì. Interessante ed incisiva la cover di Dear Prudence dei Beatles. 
Seconda band a salire sul palco sono il duo dei Gr3ta, i quali nonostante un pubblico impreparato alla loro proposta elettronica, si lascia comunque andare ad una mitragliata di suoni ed effetti elettronici con contaminazioni di alternative e new crossover. La voce del singer risulta però, a lungo andare, un po’ ostica non variando nelle tonalità, anche se il cantanto prettamente in tedesco esige di per sè una certa freddezza di fondo. Sicuramente alcuni passaggi interessanti nel complesso che han saputo, ora della fine, far ballare e divertire gli astanti già dalla terza canzone. 
Eccoli, di nuovo, dopo il suond elettronico per scaldare ancor di più il pubblico di quanto non ne faccia il caldo, i grandi rocker de Il Teatro degli Orrori. Li avevamo già conosciuti all’evento del al Rivolta di Marghera, ed ora qui ci propongono ancora una volta alcuni loro grandi pezzi, come La canzone di Tom, E’ colpa mia, E lei venne, A sangue freddo. Il Teatro degli orrori,  è un gruppo di cinque elementi, con molti anni d’esperienza alle spalle e due lavori discografici all’attivo, band veneziana formata dagli ex-One Dimensional Man, ovvero il frontman Piepaolo Capovilla e il poliedrico Giulio Favero. Senza dubbio una delle realtà rock italiane più intransigenti di questi ultimi anni nella scena rock-alternative. Atmosfere cupe e teatrali con sano furore rock, ben alimentate sul palco dallo scatenatissimo Capovilla, che immancabilmente si fa prendere dalla furia dei testi, incisivi e toccanti, riguardanti principalmente la vita e il percorso quotidiano di ogni uno di noi. Intriganti alcuni passaggi di chitarra del chitarrista Gionata Mirai che assieme al frontman non risparmia agli astanti un pizzico di teatralità mentre suona. La musica de Il Teatro degli Orrori è poesia, energia, ruvidezza, simbolismo, contemplazione ma anche uno show in piena regola!
Quartultimo gruppo della serata, e il Cen.Ser è ormai ben colmo di gente, incominciano la loro performance i siciliani Marta sui Tubi, gruppo abbastanza famoso nel panorama rock italiano che propone un sound tutto loro con sfregamenti di reminiscenze armoniche e sentimentali. I testi sono proiettati ad una sorta di rivisitazione della quotidianità dell’italiano medio, tra un tocco di commedia e il sapore amaro della frenesia del tempo che passa, il cantato passa da momenti recitati a momenti urlati. Il tutto è amalgamato in una rete di avvolgenti arpeggi di chitarra acustica. Vecchi difetti e L‘abbandono, pezzi sicuramente suggestivi. 
Ed ora dopo il sano rock dei Marta sui Tubi, ecco scaldare appieno la serata con gli ipnotici Linea 77, band che i trentenni di ora ricordano con tanto affetto. Una carica esplosiva di new metal nostrano quella dei Linea 77, andando a ripercorrere i dischi di gloria come Too Much Happiness Makes Kids Paranoid, Ketchup Suicide, Horror vacui, con le bellissime Moka, Vertigine, Mi vida, Fantasma e Sempre meglio. I Linea 77 sanno tenere il palco in modo vulcanico e travolgente, il pubblico si lascia andare e canta assieme a loro i pezzi più famosi, è una voragine di nu-metal e crossover della vecchia guardia bandito dalle evoluzioni e le continue corse in mezzo al palco dei due cantanti che non osano star fermi nemmeno un attimo.

La serata giunge quasi al termine a l’atmosfera si fa più indie quando cominciano a suonare i piemontesi Africa Unite, altro gruppone con tanta esperienza sulle spalle e tanta semplicità, attivi dal 1981 con una quindicina di lavori discografici all’attivo e appena reduci dall’enorme tour europeo del 2011 per festeggiare i loro trent’anni d’attività. Le loro canzoni hanno sempre avuto quel desiderio di riscattare le ingiustizie del mondo sopratutto quelle create dalle guerre, una visione verso il terzo mondo, con quel gusto raggae sensuale ed ammaliante, di suoni africani, sintetiche vibrazioni, luci colorate e tanta voglia di ballare e lasciarsi sedurre dalla bellezza della loro musica. Il partigiano John sicuramente uno dei pezzi piu incisivi della serata ha saputo imprimere grandi ricordi ai meno giovani assieme anche a Baby jane.

Siamo giunti al termine di questo fantastico ed onesto concertone rodigino, i cuneensi Marlene Kuntz salgono sul palco e cominciano il loro set con quella suggestiva armonia e sensualità che da sempre questo gruppo sa donare. “Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole ma non c’è, dorme ancora la campagna o forse no, è sveglia..mi guarda..non so..” così inizia Impressioni di settembre, lieve e toccante, poi prog, poi di nuovo ritmi lenti, un alternarsi di vibrazioni, e al pubblico non resta che lasciarsi trasportare dalla loro poesia tra questi ritmi prog stile anni 70′ e delicati ma anche corposi passaggi di chitarra. Da Ho ucciso paranoia, disco del 1999, L’abitudine e Un sollievo,  due grandi pezzi che i Marlene Kuntz ci propongono in versioni dolci come il miele ma anche con momenti ruvidi e catartici, passaggi lunghi e tanto sano rock sprigionato sul palco dal frontman Cristiano Godano, personaggio di grande talento e con una prestanza invidiabile, una voce affascinante e molto particolare. E poi ancora rock e psicadelia contorta intrisa nella musica dei Marlene Kuntz con 1° 2° 3°, Festa mesta, Stato d’animo, Ti giro intorno, Io e me, Bellezza. Prima degli “encore” desiderati dal pubblico ormai in delirio per la loro stupenda performance, i nostri hanno saputo regalare agli astanti un momento di travolgente rock con la stupenda Sonica. Attimi di grande estasi e delirio, e di grande musica nel palco rodigino, belli i passaggi di batteria e i ritmi ipnotici di Luca Bergia amalgamati ai giochi di arpeggi dello stesso frontman Cristiano e il chitarrista Riccardo Tesio. Urla improvvise e situazioni intrise da riff alla Sonic Youth, è questa Sonica, sicuramente uno dei pezzi più rock della loro discografia. I Marlene Kuntz danno così un grande merito a questa stupenda serata di concerti, giustificati ad una buona causa, laddove solo la musica e i veri artisti sanno affrontare con entrema professionalità e semplicità artistica! La nostra speranza dopo questa stupenda giornata di beneficienza, è quella di poter vedere ancora ed ancora tante altre giornate in questa città di grande musica rock… e anche un po di sano metallo non farebbe male! 

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METALLICA + Machine Head + Gojira

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Recensore: Nina Ramirez
Credits photo: Simone di Luca e Nina Ramirez 

GOJIRA + MACHINE HEAD + METALLICA
Stadio Friuli (Udine) 13 maggio 2012

Eccoci arrivati al grande giorno, che in molti di voi, stavano aspettando da tanto. Qui, nella laguna veneziana, ci siamo praticamente svegliati all’alba grazie ad un mega temporale e dopo 50 minuti di vaporetto tra la pioggia partiamo con tranquillità verso Udine. Per fortuna, durante il viaggio lo spiraglio di sole si intravede, speriamo che ad attenderci sia una bella giornata. In treno vi sono molti metallari, belli carichi per il concerto con tanto di bandiere, felpe, maglie, braccialetti ecc firmati Metallica, e dopo aver constatato che sono pure stranieri, forse spagnoli, una domanda mi viene proprio dal cuore..Ma quanto fa un fan per il gruppo che ama??? Udine, usciti dalla stazione c’è un pullman apposito per lo stadio ad aspettarci, sicuramente una nota positiva ad aiutare i fan che se la fanno in treno. 15 minuti giusti di bus ed eccoci allo stadio Friuli, sono poco più le 12 e già la gente comincia ad arrivare, ci sono pure le code nelle entrate per la platea. Entriamo nello stadio e, prima nota negativa, ok siamo in Italia, nel paese dei balocchi dove tutto è lecito e dove ci si perde spesso in bicchieri d’acqua ma..un minimo di perquisizione iniziale negli zaini poteva anche essere fatta? ok la prossima volta vengo con le bombe a mano!!! La gente paga un biglietto abbastanza salato anche per un minimo di sicurezza, visti i tempi che corrono. Il concerto inizia poco dopo le 18.00, ad aprire le danze sono i Gojira, band francese attiva dal 1997 sulle note di Orobus. Bella in linea di massima la voce del frontman Joe Duplantier, il chitarrista Christian Andreu incita subito gli astanti con The heaviest matter of the universe percorrendo lo snakepit. Interessante l’incrocio delle chitarre ed in complesso anche l’esecuzione della batteria, ma scarni d’impatto e di mordenza, brani un po’ piatti con un matecore ultratecnico sinceramente notevole ma difficile da assimilarli non conoscendo la loro evoluzione negli album.

Gojra Setlist
1- Orobus
2- The Heaven Matter of the Universe
3- Backbone
4- Love
5- Flying Whales

Cambio palco e ci dirigiamo, nel mentre, verso la lunga coda nello stand delle birre, ora sarà la volta dei thrasher americani Machine Head, che irrompono sullo stage accompagnati dall’intro I am Hell con una furia devastante. I Machine Head sono una band di grosso calibro, attiva dal 1992 che non ha proprio nulla da invidiare a nessuno, uno spettacolo semplice scenograficamente ma di grande talento. I cinque preparano un set davvero interessante spulciando prevalentemente dall’ultimo lavoro discografico Unto the Locust uscito l’anno scorso, ma anche da The Blackening del 2007 e Though the ashes of Empire del 2003. La qualità tecnica dei Machine Head è altissima, dolente dire che la voce di Robb Flynn non è mai stata il punto forte del gruppo e di certo non ci aspettavamo un miglioramento nonostante sia l’elemento più carismatico della band. Chi invece ha spiccato su tutti è il batterista Dave McClain con una potenza ed una precisione da macchina da guerra, mentre Robb, Adam e Phill non perdevano un attimo per incitare il pubblico correndo su e giù per lo snakepit, il quale si lasciava scatenare in poghi violenti e scrosci d’applausi. Una prestanza ed un talento unici, i Machine Head negli ultimi anni hanno partecipato a tantissimi tour che li hanno portati ad essere una band ben oliata capace di offrire momenti indimenticabili.

Machine Head setlist:
1- I am Hell (Sonata in C)
2- Be still and know
3- Imperium
4- Beatiful Morning
5- Locust
6- Aesthetics of hate
7- Darkness Within
8- Who we are
9- Halo

Giungiamo alla fine di questo grande evento e sono oramai le 21.00, lo stadio è gremito di persone, e dopo la lunga attesa parte dai mega schermi un video di alcune scene tratte dal film Il buono, il brutto e il cattivo sulle note di The ectasy of God di Ennio Morricone. Il tour dei Metallica è dedicato al Black Album che è l’album che li ha resi famosi anche fuori dal circuito metal, il quale da una parte è amato e dall’altro è rinnegato. Eseguire quindi, l’intero album dal vivo, implica dei rischi. Lo show dei quattro californiani si apre con Hit the Lights, Master of Puppets, Fuel e For whom the bell tolls, e tranne Fuel gli altri tre pezzi sono estratti dai primi tre album e per questo i primi venti minuti sono l’incipit di quello che si preannuncia essere un gran concerto dando un irrefrenabile carica al pubblico dello stadio ed anche tra gli spalti la gente è molto entusiasta, tra l’altro non vi erano solo giovani ma anche molti veterani dell’heavy metal. Dopo la prima manciata di brani si comincia con l’esecuzione del Black Album riprodotto per intero e alla rovescia che ha battezzato anche il nome del tour. Da subito c’è un calo di impatto rispetto i brani precedenti, eseguire un album per intero dal vivo non è mai cosa semplice perchè si va incontro al gusto del pubblico che preferirebbe sentire altri Best of rispetto ad alcuni riempitivi, inoltre, molti fan possono non aver mai apprezzato quell’album. I Metallica saggamente per ovviare al fattore gusto dell’album hanno utilizzato durante la performance alcuni effetti di laser colorati, fuochi d’artificio e palloncini neri, che da un lato possono certamente essere apprezzati dai “più piccoli” e da un’altro si scopre quanto sia stato un contorno per ovviare ad un’esecuzione generale dei brani un po’ farcita di errori tecnici e con un Lars Ulrich che ha semplificato di gran lunga i fill di batteria e un James Hetfield un po’ senza voce. Siamo giunti al termine dello show e sul palco, per dare l’incipit del tempo, Lars porta Riccardo De Santis curatore del Metallibashers fan club, e con una bella esecuzione di Sick and Destroy si conclude questa serata interessante ricca di buona musica anche se tutto sommato è amaro dirlo ma forse ci saremo aspettati qualcosa in più da queste leggende del thrasher attivi dal 1981.

Metallica setlist:
1- The ectasy of god (intro by Ennio Morricone)
2- Hit the Lights
3- Master of Puppets
4- Fuel
5- For whom the bell tolls
6- Hell and Back
7- The struggle within
8- My friend of misery
9- The god that failed
10- Of wolf and man
11- Nothing else matters
12- Through the never
13- Don’t tread on me
14- Wherever I may roam
15- The unforgiven
16- Holier than thou
17- Sad but true
18- Enter Sadman
19- Battery
20- One
21- Seek and Destroy

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BLACK DEATH SUMMONING FESTIVAL

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On line il nostro report fotografico a cura di Nina Ramirez, lo staff di GROWL IN ITALY ringrazia calorosamente tutti i gruppi che sono saliti sul palco del Revolver club di San donà di Piave, complimenti soprattutto ai superbi AZRATH 11 ed ai cavernosi XEPER per lo splendido show. m/

Tutto il nostro report è visibile qui:

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RETURN FROM THE GRAVE

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On-line il nostro report fotografico a cura di Nina Ramirez sulla nostra gallery:
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(EchO)

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Recensore: Nina Ramirez

DEVOID OF ILLUSIONS


Siamo coscienti che la vita è un cammino di estenuanti lotte interiori, è questo ciò che deduciamo all’ascolto di questo full lenght.  Difficile l’interpretazione esaustiva da poter dare al lavoro di questi sei ragazzi bresciani. Si nota sin da subito la buona qualità di registrazione e un buon mixaggio, tutto ben curato dal grande Greg Chander degli inglesi Esoteric, un biglietto da visita degno di ogni nota. Dopo due demo, questa doomband ci regala finalmente un full-lenght interessante ed esaustivo, che decreta senza ombra di dubbio, il grande lavoro svolto dal 2008 da questo gruppo e la loro bravura nel concepire brani talentuosi. L’Intro di Devoid Of Illusions è un antipasto gradevole prima di Summoning The Crimson Soul che inizia con un incipit alla Paradise Lost. Un growl cavernoso e cupo ci dà il benvenuto nel mondo (EchO), una sorta di riff ammalianti di chitarra e accordi piacevoli e sognanti di piano ci catapultano subito in un intensa atmosfera in chiave doom metal con inserti azzeccati di sano death a contrapporre questa melanconica estaticità allusiva nei meandri dell’inconscio, del lato oscuro della vita. “Stiamo cadendo giù, così giù da toccar terra…la mia paura inizia in queste ore di disperazione…si muore per amore..”. Decisamente mera introspezione ciò che preannuncia questo full-lenght, e allora…lasciamoci sedurre. Un intro del piano di Simone Mutolo risolutamente in pieno stile Anathema unito all’oscuro growl di Antonio Cantarin e un tocco di teatralità, sono gli ingredienti di Unforgiven March ben serviti su un piatto di considerevoli ed accattivanti riff delle chitarre di Mauro Ragnoli e Simone Saccheri. Siamo di fronte ad una proposta veramente condita con grande tecnica e molta…molta personalità. Dolci e seducenti i clean vocals nella seconda parte del pezzo, è una continua ricerca dell’io interiore, un continuo confondersi tra il tempo, l’amore, la speranza e il voler scomparire.  Di gran lunga il pezzo, forse, più introspettivo e toccante di questo lavoro discografico, The Coldest Land, dove qui, la matrice doom/alternative viene interpretata a dovere, “Siamo ombre sotterranee…” e con ciò gli (EchO), possono confermarsi tra le poche band italiane capaci di interpretare con grande talento quello che tutt’oggi è ancora un genere di nicchia e piuttosto difficile da sviluppare con idee nuove e personali nonostante le molte proposte fiorenti giorno dopo giorno. Con bellissimi giri di basso, Agostino Bellini apre Internal Morphosis, rimembrando un gusto particolarmente progressiv dove anche la batteria di Paolo Copeta lascia il suo tocco personale e suggerirei un’interessante e lieve rivisitazione in chiave nu-metal in qualche passaggio finale. La morsa latente continua nella sua poesia introspettiva con Omnivoid e Disclaiming My Faults assuefatta da riff di chitarra a tributo degli Insomnium di Across The Dark. Questo stupendo viaggio è concluso con la toccante Once Was a Man dove la voce del frontman esalta emozioni sorprendenti, mentre il gran finale con Sound From Out of Space, vede l’entrata dello stesso Greg Chander cospargendo di sano funeral doom il pezzo. Diciamo che se questi ragazzi volevano farci raggiungere l’estasi, bè, ci sono egregiamente riusciti. Bravi! 

01. Intro

                                                       02. Summoning The Crimson Soul

03. Unforgiven March
04. The Coldest Land
05. Internal Morphosis
06. Omnivoid
07. Disclaiming My Faults
08. Once Was A Man
09. Sounds From Out Of Space

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Seelenmord

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Recensore: Nina Ramirez

“…and we will FIND only SOLITUDE” -Part.I-

Lugubre è il sentiero che ci fanno percorrere i due argentini Enrique e Daniel in questa prima parte di Ep di cinque tracce autoprodotte. Questo è un progetto black metal in piena regola, con un accentuato gusto depressive. Degli elementi canonici del BM non manca nulla, la voce straziante e soffocata si impronta su uno scream nostalgico, davvero ottimi in linea generale i riff e i passaggi armonici delle chitarre nei vari pezzi, la batteria, sicuramente programmata forse fa storcere un po’ il naso nel contesto ma tutto sommato riesce comunque a risaltare con un suono non troppo finto. “Disperatamente alla ricerca di un immagine o semplicemente un ricordo che possa alleviare le nostre sofferenze. Sotto un velo di pioggia, altro non è che il mondo imbevuto di lacrime…” è solo un pezzo del testo di The World cries in rain, la prima song dell’EP, la quale con tutta sincerità ha il merito di portare con se tutto il significato intriso di questo progetto, in riferimento sia all’artwork e al titolo voluto. Qui le chitarre portano un compito difficile ma svolto con saggezza di forma e proposta, ci consolano ci cullano nella solitudine, ci mettono a contemplarci con l’inganno della vita in silenzio, guardando dinanzi a noi le gocce di pioggia cadere dalle foglie, sentire parole mormorate dal vento per poi perderci nell’oblio di domande dentro noi stessi, il tempo che giunge ad una fine ineluttabile. Da sottolineare anche At the edge of the abyss e Beneath the rubble, che continuano con egregi riff di chitarra corposi e ben supportati dallo scream ruvido e graffiante. Ottima prima parte direi, per questo progetto argentino, emozionante e palpabile, aspettiamo con entusiasmo la seconda parte di questo sentiero di solitudine.

01.The World Cries in Rain

02.Hunters
03.At the Edge of the Abyss
                                                              04.Beneath the Rubble
                                                                         05.Nothing

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THE MODERN AGE SLAVERY

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Intervista e credits photo: Nina Ramirez

La nostra intervista a Mibbe degli emiliani “The Modern Age Slavery”


“The Moder Age Slavery” ovvero “lo schiavo dei tempi moderni” e quindi del processo di 
industrializzazione. La vostra vuole essere una visione positiva o è un processo di non ritorno?

Adesso viviamo in una società dove c’è tutto e troppo. Quindi siamo assuefatti da tutte queste nuove tecnologie. Ha i suoi lati positivi e negativi. Positivi perchè adesso si ha un modo di comunicare molto veloce e con un semplice click si può arrivare dappertutto, cosa che fino ad una decina di anni fà era impensabile. D’altro canto però si è persa la comunicazione umana tra le persone ed il rispetto per le varie forme d’arte. 
Anche nel nostro campo, quello musicale, queste nuove tecnologie hanno portato si una maggiore diffusione della musica, grazie ai vari social network e siti specializzati, però poi la gente non compra più dischi, le etichette discografiche sono in crisi e non investono più su nuove realtà. Basterebbe sfruttare queste tecnologie con un minimo di intelligenza!


La tecnologia in ambito di registrazione e in ambito live, quanto vi è d’aiuto e quanto può essere invece un’ arma a doppio taglio?

Tutto stà a come viene utilizzata, non bisogna abusarne! Capita spesso di sentire dischi con migliaia di sovraincisioni sia vocali che musicali, che poi spesso in fase live non vengono eseguite o riprodotte al 50%. Ormai si è arrivati ad un punto che in studio si riesce a fare tutto e di più però poi è in fase live che si vede se il musicista suona bene oppure no.

Siete in fase di scrittura del vostro secondo full-lenght ci sarà un’evoluzione nel vostro sound visto anche il cambio di line-up o la vostra proposta rimarrà costante?

Siamo rinchiusi in studio proprio in questo periodo e ti anticipo già che sarà un album molto più veloce e brutale rispetto al precedente, tutto è nato in maniera naturale, senza seguire le mode, cercando di personalizzare il nostro sound inserendo anche atmosfere cupe e claustrofobiche. Lo sconsigliamo ai deboli di cuore (ahahah).


Molti membri del vostro gruppo fanno parte di altri progetti paralleli piuttosto avviati, questo vi crea qualche problema logistico o può essere positivo per i differenti punti di vista che arrivano all’interno del gruppo?

In questi casi sapersi gestire e mettere delle priorità è di fondamentale importanza per evitare problemi, disguidi e coincidenza di concerti. Basta solo organizzarsi per tempo. Il fatto di suonare in altre band è un fatto positivo perchè ti dà la possibilità di fare nuove esperienze, conoscere nuova gente e di promuovere anche il nome dei TMAS in posti dove ancora sei sconosciuto.

Dopo i vostri svariati tour avrete sicuramente parecchie vicende da raccontare, c’è n’è qualcuna che vi è rimasta talmente nel cuore da volerla condividere con noi?

Ovviamente il primo Tour non si scorda mai 🙂 i Malevolent Creation e i Vomitory sono delle persone fantastiche, umili, e sopratutto molto rispettose nei nostri confronti. Si è creata una vera amicizia che prosegue tuttora. Durante la notte, dopo il primo concerto, eravamo nel tour bus con il batterista ed uno dei chitarristi dei Malevolent Creation tra una birra e l’altra, mentre si parlava del più e del meno, ci dissero: “finalmente un gruppo che spacca il culo, ora il pacchetto del tour è perfetto, andiamo a spaccare l’Europa in due!!” Quella frase ha ripagato tutti i nostri sforzi fatti fino a quel momento ed una grande carica per il proseguimento del tour.


Qual’è stato lo stage che vi ha lasciato qualcosa di ineguagliabile sia a livello d’importanza che di prestazione?

Ogni data, piccola o grande che sia, ha la sua importanza. Nelle varie date italiane che abbiamo fatto ho un bellissimo ricordo del Total Metal Fest a Bari. Un ottima organizzazione, un pubblico numeroso e calorosissimo. 
In quelle all’estero sicuramente il primo dei due concerti che abbiamo fatto in tour insieme ai Cannibal Corpse in Germania, noi eravamo il secondo gruppo di un festival di 8 band tra cui Obscura e Dying Fetus. Siamo saliti sullo stage alle 16 e c’era già la sala gremita di persone cariche e super esaltate. Il palco era la cosa più grossa che abbia mai visto in vita mia, mi sentivo anche in imbarazzo con tutto quello spazio a disposizione. Poi abbiamo avuto la fortuna di stare a stretto contatto con alcuni dei tuoi idoli. Una giornata indimenticabile!


Negli ultimi anni, nella scena death italiana oltre a voi sono usciti fuori nomi come Hour of Penance, Flesh God Apocalipse e altri..come vedete il futuro di questa scena italiana? Rimarranno solo delle parentesi o sono le basi per fondere una solida scena?

Non abbiamo niente da invidiare a nessuno, il panorama italiano in questi anni è cresciuto ed è in continuo fermento, i gruppi ci sono, le idee pure, quello che manca sono gli spazi e i mezzi per promuoverli.
I gruppi che hai citato non sono affatto delle parentesi anzi sono solide realtà che si stanno affermando anche oltre oceano. Anche noi faremo di tutto per promuovere e diffondere il made in Italy.

Lo staff di Growl in Italy ringrazia per la collaborazione e lasciamo le ultime parole di quest’intervista a te…

Grazie a voi per averci concesso questo spazio! Sarò ripetitivo ma dico di continuare a sostenere il metal tricolore, non volete comprare il cd, ok scaricateli ma andate ai concerti, solo li potete vedere con i vostri occhi che ci sono in giro band che spaccano il culo! Horns Up!!!!!!


Direttamente dallo studio di registrazione, il loro primo studio diary del nuovo album:
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OBSCURA: Omnium Europe 2012

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OBSCURA + SPAWN OF POSSESSION + GOROD + EXIVIOUS + 26TOUSENDYEARS
23 marzo 2012 . Il Blogos – Casalecchio di Reno (Bologna)
Arrivata con un margine di ritardo nel sempre piacevole parco del “Il Blogos” bolognese noto che c’è molta affluenza stasera, forse, questa selezione di gruppi è più seguita di quella proposta l’ultima volta che venni qui, con Abigail Williams e Thulcandra, dove fatalità del destino eravamo a mala pena 8 persone. Entro, preparo subito la macchina, ma l’ultimo pezzo dei bolognesi 26thousendyears è solo il dessert di ciò che, sicuramente, hanno dato fino in fondo in tutto il loro show. Qualcosa di interessante riesco a percepirlo, tra l’altro alla chitarra vi è Federico “Feed”Venturi dei Disease Illusion. Mi rincresce veramente, è poca una canzone per poterne parlare con una certa razionalità. Spero di poterli rivedere in qualche altro palco e poterci dedicare qualche parola in più. 
Ok, dopo che il gruppo spalla ha fatto rigorosamente il suo dovere di apri-pista, e con un cambio palco un po’ lungo, entrano gli Exivious. Gruppo progressive/jazz/death con 3 demo ed un full-lenght alle spalle, sinceramente non li conosco, non so cosa aspettarmi. Le prime cose che noto affreddo sono un’ottima strumentazione e un atteggiamento molto consapevole dei nostri quattro. La session è decretata da un intro, un solo accordo che suscita abbastanza la mia curiosità, cominciano con Ripple of a Tear, la loro è una proposta che richiama un raffinato gusto progressive con armoniche jazz e sfocia in un death per niente forzato ma deciso, pulito e accattivante. Nessuna voce, solo pura musica strumentale, e decisamente ci sta! Dal canto mio, amo e penso sia una bella soluzione mescolare gusti diversi per quel che ne concerne un festival o comunque sia un concerto con molti gruppi simili, rendendo così meno piatta la serata, affrontare realtà praticamente uguali è un rischio per le orecchie a mia ipotesi. Nelle prime song l’elemento portante è il basso di  Robin Zielhorst (ex-Cynic) , un primo approccio considerevole con gli astanti miscelando un intruglio tra death e progressive raffinato e tecnicamente esaustivo ed inaspettato. Un piacevole gioco tra basso e batteria, e poi l’entrata delle chitarre che fanno sentire la loro presenza attraverso riff saltuari. Il secondo pezzo Waves of Thoughtprosegue senza fiato, belli gli sguardi tra il chitarrista Tymon Kruidenier(anch’esso ex-Cynic) e il batterista Yuma Van Eekelen (ex-Pestilence), l’atmosfera si sta scaldando e il pubblico è decisamente ammaliato. Questo è un viaggio accompagnato da note cupe, è introspezione allo stato puro, ma dove ci porteranno? Asurim riallaccia il tutto con riff di matrice più death, ci stiamo avvicinando ad un traguardo davvero niente male. La tecnica e la preparazione degli Exiviuos è invidiabile, un gruppo che sa il fatto suo e vuole dimostrarlo e ribadirlo fino alla fine. Il set finesce come una martellata con Time and Its Chages e An Elusive Need, un full immersion nella loro musica, che pathos, che potenza!
 
Ripple of a Tear
Waves of Thought
Asurim
 Time and Its Changes
An Elusive Need
 



Dopo questa bella parentesi strumentale degli Exivious, è l’ora dei francesi Gorod, dirò la mia, 5 full-lenght ed un EP, quello che ascoltai della loro discografia mi aveva incuriosito ma già da Birds of Sulphur mi resi conto che l’impatto scenico e il loro atteggiamento ben si discostava dalle mie aspettative. Un intro da colonna sonora ovvero The Call to Redemption, è l’inizio di una battaglia e dopo poco inizia il macello. Un death metal tecnico, niente da ridire ma l’impostazione è palesemente un potentissimo metalcore. Ottimi i riff proposti per tutto il set, il batterista Samuel Santiago (ex-Line of Sight, ex-Next on the List, ex-Zubrowska) è una macchina da guerra, devastante! Il cantante Julien “Nutz” Deyres (Zubrowska, ex-Eradykate) invece, è abbastanza monotono ed apersonale detta con tutta franchezza! Le chitarre invece, Mathieu Pascal e Nicolas Alberny, corollano il set con una serie di giochi armonici e tecnici notevoli. Sanno suonare, e tenere bene la presa col pubblico, ma personalmente mi han lasciato un po’ quell’amaro in bocca.
 
The Call to Redemption
Birds of Sulphur
Here Die Your Gods
The Axe of God
Carved in Air
Programmers of Decline
Disavow Your God



















Ci stiamo dirigendo verso la fine di questa interessante serata all’insegna del death in tutte le sue sfumature. Ora lo scettro va in mano agli Spawn Of Possession, e da quanto noto, erano molto attesi. Al contrario dei francesi Gorod, gli svedesi hanno da subito catturato la mia attenzione, quello che ci propongono è un death melodico nudo e crudo. Un piccolo saluto al pubblico del Blogos  dal frontman Dennis Röndum, ex batterista del gruppo ora alla voce, e subito si aprono le danze con Swan Of The Formless. Riff tiratissimi di Danny Tunker, turnista live visto di recente con i Prostitute Disfigurement, la batteria ha molta mordenza e la voce cavernosa di Dennis fa fare headbanging a più non posso agli astanti. Appena reduci dall’ennesimo cambio di line-up gli Swan of Possession non ne fanno sentire troppo il peso, la scaletta vanta un tuffo nel passato ed uno sguardo al futuro, ma il pubblico sembra bene apprezzare la scelta. “Siete stanchi?Bene allora continuiamo” incita il frontman. Nel contesto soluzioni ritmiche corpose senza tregua, accompagnate dal continuo martellamento delle percussioni. Una band datata ma che ha ancora molto da dire, sicuramente da rivedere!
 
Swarm of the Formless
Hidden in Flesh
Where Angels Go Demons Follow
Spawn of Possession
Solemn They Await
Dead & Grotesque
Lash by Lash
Church of Deviance

Eccoci gloriosamente arrivati al momento culmine della serata, li stavamo tutti aspettando, i tedeschi Obscura. La loro eleganza ricorda molto quella deiThulcandra, difatti seconda famiglia del frontman Steffen Kummerer. Ventilatori ben riposti accanto alle spie per impostare una scenografia forse “nordica” non saprei, ma a tratti mi fa sorridere e a tratti è delicatamente piacevole ai miei occhi! Ho letto molte critiche nei loro riguardi, si  ragazzi diciamolo pure, siamo di fronte  ad una band di un certo calibro ed al loro primo Tour come headliners, che vanta nella line-up passata la presenza diJeroen Paul Thesseling (ex –Pestilence) ormai uscito dal gruppo ed uno Steve DiGiorgio come turnista live al basso appena sostituito da Linus Klausenitzer, ed un attuale e considerevole Christian Münzner alla chitarra (Spawn of Possession, ex-Thulcandra ed ex-Necrophagist). La band ci delizia da subito con Septuagint … è magia. La loro bravura è impeccabile nella tecnica, nell’impatto con il pubblico, nessuna sbavatura, un connubio di estasi e un sapiente tributo ai Death e ai Morbid Angel. Gli Obscura ci offrono anche un piccolo momento drum solo, lasciando il palco al batterista Hannes Grossmann, niente male direi. Non c’è molto da doversi soffermare, è eleganza compositiva quello che questa sera ci donano gli Obscura, un’eloquente tessitura dove la trama è offerta al pubblico con grande pathos tecnico, una teatralità senza mezzi termini, suoni potenti e ricchi di sfumature, la grande macchina Obscura è qualità sapientemente messa su un piatto d’argento, a tutti gli effetti.

Septuagint
Vortex Omniivium
Inarnated (Death cover)
Orbital Elements
Ocean Gateways (Morbid Angel cover)
Universe Momentum
Drum Solo
The Anticosmic Overload
Centric Flow
 
Encore:
Flesh and the Powr it Holds (Death cover)

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